Meno povertà con la cooperazione

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Perché è così difficile accorgersene?

Ho scritto una serie di articoli sul blog del Fattoquotidiano.it, dicendo che se un gruppo di persone si mette assieme per fare la spesa risparmia parecchi soldi. E non è certo una teoria ma un fatto con più di un secolo di esperienze comprovate, i gruppi di acquisto li hanno creati i braccianti e gli operai italiani di una volta, quelli che prendevano stipendi miserrimi e che si sono inventati i Mulini Popolari per poter dare il pane ai figli.
Mi si risponde: “Ma cosa deliri tu radical chic, che la gente non ha più soldi! Cosa vuoi che compri?”
Allora cerco di spiegare nuovamente: un gruppo di acquisto può essere utilizzato in vario modo.
Esistono gruppi di acquisto che si uniscono per comprare prodotti migliori allo stesso prezzo di quelli standard, ed esistono gruppi che hanno come obiettivo il risparmio sui prezzi standard.
La distanza del prezzo dei cibi tra quel che viene pagato al contadino e quello che costa un prodotto al supermercato va dal doppio (grano) a 7 volte e più…
Certo, se uno non ha proprio nulla è evidente che non può fare un gruppo di acquisto, ma in Italia ci sono milioni di persone che vivono una condizione economica spaventosa ma comunque comprano qualche cosa. Queste persone rinunciano a molte cose essenziali ma generalmente hanno un cellulare e pagano le telefonate. Ora a me pare evidente che se il quantitativo di telefonate che abitualmente pago 10 euro riesco a pagarlo 8 euro risparmio 2 euro e quindi posso comprare, con quei 2 euro risparmiati, qualche altra cosa. E questo mi sembra un fatto positivo: è meglio. Aumento il potere d’acquisto del denaro che possiedo.
A questa mia obiezione mi si risponde: la gente non ha soldi, sei uno stupido.
Come è possibile che una persona capace di accendere un computer e scrivere un commento sul web non riesca a comprendere che questo sistema di distribuzione delle merci basato sulla passività dei consumatori è una fregatura per i consumatori stessi e tanto più sono poveri, questi consumatori, tanto più grave è che si lascino fregare così?
Ma che un concetto aritmetico elementare non venga compreso da alcuni cittadini è comprensibile.
Più arduo da capire è che questo concetto non lo capisca la Camusso: mi spiegate perché la Cgil non ha ancora creato un accordo per l’acquisto collettivo di traffico telefonico, servizi, elettrodomestici, auto ecc? Una simile iniziativa farebbe risparmiare ai suoi iscritti parecchi soldi. Sicuramente più degli aumenti in busta paga che si potrebbero ottenere in questo momento.
Ma il fatto è ancor più grave perché denota che i leader sindacali non hanno proprio capito che il lavoro come noi lo conosciamo è in via d’estinzione.
Ed è essenziale parlarne e far conoscere le esperienze capaci di essere alternative a questa tendenza.

Il lavoro come lo conosciamo è in via d’estinzione.
L’organizzazione del consumo attuale idem.
Questo modello di sviluppo non funziona più.
Ce ne serve uno nuovo. E possibilmente allegro.

Le innovazioni tecnologiche stanno via via portando alla diminuzione del numero di persone che devono lavorare per produrre le merci necessarie all’umanità.
Il modello attuale si basa su un’unica attività lavorativa che ti dà il denaro per poter comprare tutto comodamente al supermercato. Così una quota dello stipendio va a pagare i costi della distribuzione delle merci. In futuro si lavorerà meno ore al giorno, si guadagnerà quindi di meno e l’unica possibilità sarà quella di dedicare una parte della propria capacità produttiva nell’autogestione diretta e consociata degli acquisti, lavoro che sarà pagato dal risparmio ottenuto grazie alla forza del potere d’acquisto collettivo.
Inoltre non si svolgerà più una sola professione. Lo stipendio verrà integrato dalla capacità di ottenere reddito dall’insieme delle proprie capacità e passioni. Questo avviene già per centinaia di migliaia di italiani che hanno abbandonato le metropoli e vivono in campagna e si sono creati un sistema di multilavoro; che era poi il sistema classico di vita dei contadini che hanno sempre fatto un po’ di tutto. Nella valle di Alcatraz vivono 200 persone che traggono reddito da un mix di lavori: abbiamo web master-pittori-camerieri, giardinieri-massaggiatori-guide ambientali-musicisti, e muratori-musicisti-orticultori, venditori-organizzatori di eventi-editor letterari, e spedizionieri-camerieri-insegnanti di equitazione, consulenti legali-telefonisti-commercianti via web, architetti-affittacamere-falegnami-erboristi.
Ovviamente questa possibilità si sviluppa al massimo laddove esiste una coscienza diffusa dei vantaggi della cooperazione e dove si è riusciti a inventarsi un modello di sviluppo che integra agricoltura, artigianato, benessere, formazione professionale, agriturismo, commercio online, servizi innovativi.
Nella valle di Santa Cristina, in modo caotico e indipendente, si sono trovate a convivere persone diversissime per storia, condizione economica e provenienza che hanno dato vita a una serie impressionante di attività diversificate.

(CONTINUA DA IL FATTO QUOTIDIANO)
Cito qui l’elenco delle attività lavorative presenti in valle, con circa 200 persone residenti dei quali una quarantina pensionati e una trentina bambini e studenti.

62 orti
54 oliveti e frutteti
11 agriturismi e bed & breakfast (7 sono anche ristoranti)
2 maneggi (uno solo con asini)
1 scuola di canto
3 gruppi musicali
2 scuole di teatro
1 centro di arte contemporanea (tedesco)
2 laboratori di falegnameria
2 centri di coworking dove lavorano ingegneri, telefonisti, spedizionieri, un commercialista, agronomi, manager, consulenti di vario tipo, grafici e web master.
3 persone lavorano nell’organizzazioni di eventi (non solo in valle)
2 imprese di edilizia e manutenzione del territorio (ad esempio rimboschimenti, manutenzione strade ecc)
1 società vende via web prodotti ecologici e culturali e gestisce gruppi di acquisto e servizi per le imprese
20 persone insegnano varie discipline, dallo yoga alla costruzione dei pannelli fotovoltaici, al teatro, alla grafologia.
2 atelier di pittura
1 laboratorio di tessitura e confezione di capi di abbigliamento
2 allevatori di bestiame
1 orticultore/commerciante di ortaggi
1 studio di architettura
1 azienda boschiva
1 cooperativa di famiglie che stanno costruendosi le loro case.

Ovviamente tutti sono parte di un qualche sistema di acquisti consociati che vanno dall’automobile, al gas, alle lenzuola, senza dimenticare il baratto di servizi e beni… Tutti riciclano e riusano. La maggioranza delle case sono arredate con mobili riciclati o autocostruiti, nessuno compra abiti griffati e chi vuole andare al mare in Sardegna va da amici o lo fa tramite lo scambio di case, ospitando qualcuno che vuole farsi una vacanza in Umbria. La mia seconda figlia si è trovata a indossare i vestitini della prima che nel frattempo erano stati usati da altri bambini e poi sono tornati. Abbiamo imparato che buttare i soldi dalla finestra è assurdo.
Ma vorrei anche notare che il nostro modello di sviluppo ha 3 particolarità che contengono il germe di un cambiamento epocale nell’organizzazione del lavoro:

1) Innanzi tutto questo modello funziona, crea uno standard di vita impossibile altrove, a parità di reddito, e questo vale soprattutto per i redditi più bassi. Non spendere il denaro per i vestitini nuovi dei figli o per mobili costosi, vuol dire avere più possibilità di viaggiare, coltivare passioni, concedersi lussi alimentari, coltivare le relazioni umane, avere tempo più tempo libero per far nulla.

2) Questo sistema economico è più solido, abbiamo risentito della crisi molto meno che nelle metropoli e abbiamo continuato a creare nuovi posti di lavoro. Proprio perché questo sistema integrato dà possibilità che altrove mancano; nel pieno della crisi si sono trasferite qui 12 persone; ci sono una quarantina di persone che vengono a lavorare dai paesi vicini e altre 20 persone lavorano via web mentre abitano a Roma o a Berlino.

3) L’unica professione che è completamente assente è la segretaria. Non esiste nessuno che svolga solo funzioni di segreteria perché ognuno lavora in modo indipendente ed è manager di se stesso, contemporaneamente responsabile d’area, capo ufficio, segretaria e fattorino. E questo è un punto di grande forza di questo modello produttivo che si è sviluppato in modo spontaneo, per tentativi. E che, tra l’altro, ritroviamo anche in molte grandi aziende di successo come la Semco brasiliana che con 40 settori di impresa e 5.000 dipendenti non conta neppure una segretaria. E neppure un controllore della produttività. La Semco ha eliminato segretarie e controllori quando negli anni ’90 era solamente un’acciaieria (con 3.000 dipendenti). Ovviamente questo modo presuppone un cambio di mentalità anche in chi lavora, perché non tutti hanno voglia di dirigere se stessi e di lavorare in autonomia senza controllori.

Le caratteristiche del mondo del lavoro del futuro sono in gran parte contenute in questi esempi.
La struttura del lavoro stesso cambierà: una quota del salario sarà relativa alle mansioni svolte, un’altra quota deriverà dal fatto che anche i lavoratori che svolgono mansioni elementari assumono l’onere di gestire e controllare la quantità e a qualità del loro lavoro, quindi verranno pagati anche in quanto manager di se stessi; poi ci sarà un’altra quota di guadagni provenienti dall’insieme delle capacità e passioni che diventeranno fonti di reddito secondario; e parte delle necessità di ogni famiglia verrà soddisfatta attraverso l’autoproduzione (dall’orto ai detersivi) e l’autocostruzione, il riuso, il riciclo e il baratto.

Non vedo altro futuro possibile, non vedo futuro più desiderabile.
Lavorare assieme, cooperare e condividere non sono solo modi per risparmiare: fanno crescere la nostra rete di relazioni sociali e la voglia di festeggiare. I soci dell’associazione Bilanci di Giustizia, centinaia di famiglie di lavoratori che da 20 anni fanno la spesa collettiva risparmiando uno stipendio all’anno, dichiarano che ancor più del vantaggio economico la consociazione ha migliorato proprio il rapporto con gli altri. Il crescere dell’amicizia e della soddisfazione di sentire di far parte di una collettività.
Parlo del poco conosciuto indice del Patrimonio Umano, che io vorrei mettere molto al di sopra del PIL. L’indice del Patrimonio Umano si misura contando quante persone sarebbero disposte ad alzarsi la notte per venire a tirarti fuori dai guai senza che le paghi.

Il sistema delle merci usa e getta, dell’obsolescenza programmata, dei supermercati templi della cultura volge al declino. Non ci piace. Non è poetico, non è socializzante, non ha veramente un buon sapore. Se mastichi per un po' ti accorgi che è solo pubblicità, un po’ di plastica, una spruzzata di veleno, sudore di persone pagate una miseria, due gocce di sangue iracheno e un pezzo della cernia che si è mangiata lo spazzolino da denti…
E spero che dopo quanto detto nessuno commenterà ancora: “I gruppi d’acquisto sono cose da ricchi!” Ti prego! Non farlo!
Sennò mi butto per terra e mi metto a piangere!