Tu non sei una persona! Tu sei un condominio di differenti identità!

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I Trukese e gli Yapese della Micronesia, non hanno mai combattutto una guerra negli ultimi 100mila anni.
Si sono invece dedicati a migliorare la loro ars amandi, i passi di danza e i modi di cucinare il pesce.
Hanno anche elaborato una filosofia esistenziale piuttosto evoluta.
Il centro di questa loro scienza del vivere è il riconoscimento che noi non siamo individui “unitari” ma una cooperativa di individualità contradditore, un condominio esistenziale.
Tutti noi siamo ben coscienti che nella nostra testa si svolge un intenso, continuo dibattito… Ogni volta che ci troviamo a prendere una decisone sperimentiamo una sorta di schizofrenia (benefica) che si traduce in una vera e propria teatralizzazione che prende la forma di personaggi che si scontrano sostenendo questa o quella scelta. Alla fine una di queste identità prevale e noi arriviamo a decidere.
Ma né a scuola né nelle conversazioni con gli amici ci si dedica a identificare e descrivere queste identità… È un tema del quale discutono solo gli specialisti della psiche, più o meno laureati.
Tra questi popoli saggi e pacifici si tratta invece di un argomento fondamentale per il benessere di ognuno. Infatti questi “selvaggi” sono convinti che il benessere di una persona dipenda essenzialmente dalla capacità di conoscere le identità che abitano la nostra mente e apprendere a usare ciascuna per quel che sa fare meglio. L’identità stupida, ha capacità straordinarie di animare una festa ma è meglio contingentarla se mi trovo in mezzo a una tempesta e devo riuscire a tenere a galla la mia canoa.
Un punto parimenti importante è poi la necessità di non generare mai guerre interiori.
Al contrario, la nostra cultura è strutturalmente basata sulla repressione della propria identità selvaggia. Abbiamo succhiato con il latte concetti colpevolizzanti: il peccato originale, la possessione demoniaca…
Se voglio dimagrire cosa faccio? Prendo la mia identità golosa e la chiudo in una cella buia situata nei sotterranei della mia anima.
Poi però succede che mi sveglio nel cuore della notte, mentre la mia identità poliziotta dorme, l’identità golosa riesce a evadere dalla sua prigione emotiva, vado in cucina, spalanco il frigorifero, mi ci butto dentro e mi sbafo l’equivalente del consumo alimentare mensile di un villaggio del Burkina Faso di media grandezza.
L’idea che ci sia dentro di noi una parte malvagia, negativa, pericolosa, viziosa è un disastro per la nostra vita. E l’idea che sia possibile domarla o ingabbiarla è altrettanto deteriore.
Come si fa a vivere odiando o temendo una parte di se stessi?
È al contrario indispensabile per il nostro benessere porre fine a queste ostilità.
Credo che sia necessario affrontare un momento nella propria vita, dedicato proprio alla pacificazione di sé. Accettare quel che sei globalmente, considerare come una risorsa la propria biodiversità interiore, accettare e riconoscere la propria sana schizofrenia
Ed è necessario giurare a se stessi che non si prenderanno più decisioni senza prima aprire una trattativa con le diverse identità e i loro desideri.
Parlo proprio di mercanteggiare, trovando passo passo un modo per dare a ogni parte di sé un buon motivo per continuare a cooperare con le altre.
Ad esempio, se voglio dimagrire potrei fare un accordo con la mia anima golosa, promettendo che mai più mangerò qualche cosa che non sia buonissimo. In cambio la mia parte golosa accetterà di masticare di più ogni boccone per assaporarlo meglio. Azione che non è per nulla in contrapposizione con l’obiettivo esistenziale del della mia parte golosa: godere del cibo.
Se io mastico più a lungo cibi sopraffini scopro una serie di retrogusti deliziosi che il cibo pattume non mi offre. Il panino Mc Donald è gradevole in bocca per poco. Ha un sapore che riesce a ingannare il mio palato solo per pochi istanti. Se lo mastico a lungo mi esplode in bocca un gusto ben poco gradevole. Se invece mastico a lungo un cibo di qualità esploro livelli superiori di delizia. E quest’esperienza organolettica piena mi sazia prima. Il cibo masticato a lungo espande la sua massa e mi dà prima una sensazione di satollità. Infine, la sensazione di sazietà si ottiene dopo circa venti minuti che si è iniziato a mangiare, a prescindere da quanto si mangi realmente. Gli umani primitivi facevano fatica a trovare cibo e la natura, seguendo la sua logica di grande economicità, ha ritenuto superfluo creare un meccanismo di sazietà immediato, visto che nessuno riusciva a mangiare troppo in meno di venti minuti. Quindi il problema delle persone soprappeso non è quello di mangiare troppo ma quello di mangiare troppo nei primi venti minuti.
Ma c’è anche un’altra questione da affrontare.
Non tutte le persone possono dimagrire senza procurarsi danni ben superiori della grassezza. Proclamare la dittatura dei principi dogmatici è una stronzata pazzesca. Il grasso può essere un modo fondamentale per mantenere l’equilibrio psicologico. C’è gente che riesce con sforzi disumani a dimagrire ma poi si butta da un ponte perché vivere da magri è diventato per loro insopportabile.
Per questo è così importante avere un buon rapporto con le proprie identità, essere dialoganti e comprensivi, avere pietà per i propri limiti e rispettarli. Tutto quello che un buon cristiano dovrebbe fare verso gli altri bisognerebbe innanzi tutto metterlo in pratica verso se stessi. Gesù disse: “Ama il prossimo tuo come te stesso.” Ecco bisognerebbe anche amare tutte le nostre identità come amiamo quelle “socialmente buone”.

A questo punto vorrei invitarti a osservare meglio le tue identità.
E vorrei notare che esse non sono tutte sullo stesso livello.
Ovviamente ognuno è fatto alla sua maniera e ha particolari identità che si formano nel corso della vita. Ma ve ne sono tre che sicuramente tutti ospitiamo e che hanno una particolare rilevanza nella nostra vita.
Una è l’identità che potremmo chiamare ARTIGIANA, quella che serba il ricordo di tutte le cose che siamo riusciti a fare, memorizza il come si fa e ovviamente si ricorda bene anche di tutte le volte che abbiamo fallito. Ha un’indole quindi molto pratica (pragmatica) ed è estremamente potente proprio perché ha la responsabilità di condurre le attività complesse. Questa identità puntigliosa e precisa ha un grande potere dentro di noi perché tutte le altre identità, solitamente, sono disposte ad affidarle il comando quando ci sono problemi da risolvere. Quando questo non accade e diamo da fare lavori complicati alla nostra identità stupidotta, a quella infantile o a quella che si occupa di fare a pugni, la nostra vita precipita nel casino.
È quindi molto importante che questa identità sia tenuta nella giusta considerazione. Ma non deve strafare. Essendo un’identità con un grande senso pratico è anche in grado di capire, se glielo si spiega bene, che deve imparare a spegnersi quando non serve. Le persone che vivono la maggioranza del loro tempo sotto la dittatura del Grande Pragmatico, fanno una vita un po’ caccosa per via che se racconti barzellette, vai a ballare o fai l’amore con la stessa pedanteria con la quale ripareresti il rubinetto del lavandino, sei una persona talmente noiosa che anche i tuoi piedi cercano di starti il più lontano possibile.
Ma essendo un’identità pratica non è difficile convincerla che lei fa molta fatica a compiere tutti i lavori con attenzione ed è assolutamente necessario che si riposi ed economizzi le forze di modo di essere bella pimpante quando ci sono questioni complesse. Cioè, possiamo convincere il Grande Pragmatico del fatto che essendo fondamentale per la nostra vita deve economizzare le energie e può anche accorgersi che se si mette in animazione sospesa quando non serve e si gode da spettatore giochi, creazioni artistiche e baci d’amore, fa pure il pieno di energia e poi diventa più efficiente.

Altrettanto potente dentro di noi è l’identità guerriera. Essa vive in una zona profonda della nostra mente.
In molti libri di psicologia si parla delle pulsioni umane riconoscendo essenziale tra queste la reazione fuggi o combatti.
Ci si riferisce al fatto che quando percepiamo una situazione di difficoltà tendiamo a cadere in uno stato atavico di semplificazione della realtà, le sottigliezze filosofiche evaporano istantaneamente insieme alla capacità di distinguere le sfumature. La nostra identità guerriera, quando prende il controllo, va per le spicce. O è bianco o è nero. Amico o nemico, fuggire o combattere.
Per capire meglio questo discorso e quanto sia importante è necessario riflettere sulle implicazioni di questa particolarità della nostra natura. La nostra mente si è evoluta cercando di sopravvivere. Per riuscirci ha sviluppato un’incredibile capacità di riconoscere schemi nella realtà.
E quando questi schemi non contengono elementi di pericolo la mente è felice, le dopamine e le endorfine scorrono dandoci benessere e tutto è ok: la mente si autogratifica.
Quando c’è qualche cosa che non siamo capaci di identificare chiaramente, la mente entra in uno stato di stress che la spinge a tentare febbrilmente di identificare la novità che ha di fronte per riuscire a capire se è il caso di attivare le modalità guerriere oppure ci si può rilassare perché quella macchia gialla in mezzo ai cespugli non è il manto di una tigre dai denti a sciabola ma un fottutissimo rametto di fiori di ginestra.
Questo meccanismo è il principale inibitore dei grandi cambiamenti. Ci incazziamo perché la nostra vita non è come la desideriamo, decidiamo un cambiamento radicale e appena iniziamo a muoverci verso l’agognato mondo migliore la nostra mente guerriera va in paranoia perché non riesce a identificare la situazione nuova e automaticamente legge quel che non conosce come potenziale mortale pericolo.
Questo è il motivo essenziale per cui cercare di cambiare la nostra vita alla svelta ci porta al fallimento (vedi Cosa rende felice il tuo cervello e Perché devi fare il contrario di David Di Salvo). Solo i cambiamenti piccoli e costanti funzionano perché sono i soli a non scatenare il panico del guerriero e la controreazione restauratrice delle abitudini (che dà quiete e ci premia con le endorfine).

Un’altra fondamentale identità la potremmo chiamare la Grande Madre per le femmine e il Grande Padre per i maschi.
Quando fai una scelta, la decisione chi la prende?
Siamo d’accordo che quando prendo una decisione, c’è un’identità dentro di me che sancisce che quella è la decisione presa?
Un’identità che usa una certa voce, che parla con un certo tono…
Un’identità forte. Penso che dovremmo renderci conto dell’esistenza di questa identità e riconoscere il suo potere. Darle importanza e chiederle di essere mediatrice attenta e saggia… È lei che tiene insieme il condominio. È lei che può accettare e comprendere tutta la biodiversità che ci abita. È lei che deve mediare tra le varie esigenze… È la regista del nostro film, colei che studia il piano ed elabora le strategie  che ci possono portare alla realizzazione della nostra leggenda personale. È lei che governa il timone della nave.
È importante che l’identità infantile, la tua anima più semplice e interiore, meno strutturata, dialoghi con questa Grande Madre o con questo Grande Padre. Bisogna riconoscere questa identità e chiederle di essere estremamente amorevole e comprensiva con noi, chiederle di trattare e patteggiare in modo che ogni identità sia appagata il più possibile.
Credo proprio che sia utile recitare questo dialogo... certo, mettersi a parlare nella propria testa con un’altra parte di se stessi può sembrare da schizzati duri. Ma se osserviamo quel che succede nella nostra mente ci vuol poco ad accorgersi che questa discussione interna avviene in effetti continuamente, in vari modi. A volte l’identità cronista si mette a descrivere quel che succede come se fosse una partita di calcio, a volte l’identità dubbiosa recita in diretta un sottotesto a dialoghi e azioni. A volte due voci inziano a parlare simultaneamente chiedendo comportamenti inconciliabili tra loro. Siamo scissi…
L’importante è accorgersene, essere coscienti dei meccanismi e gestirli amorevolmente, senza aver paura che ci sia un mostro malvagio che ci odia acquattato in un baule nel sottotetto della mente. Non c’è niente dentro di noi che non ci ami. Ci amiamo tantissimo.
Diciamocelo.

Jacopo Fo