Centro Ghélawé

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Le notizie e le ultime novità dal Centro Ghélawé in Burkina Faso www.centroghelawe.org

Ultime dal Centro Ghélawé

6 anni di scuola elementare finanziata per 104 bambini di tre villaggi del Burkina Faso.
Oltre 200 nuovi alberi piantati.
Due forni in pietra e terra e circa un centinaio di donne che hanno imparato come si preparano pane, pizza e marmellate di frutta.
2 orti e due pozzi, un pollaio, una stalla per gli asini, un bagno a secco con doccia e alcune strutture.
Per alcuni mesi siamo anche riusciti a far funzionare, piuttosto bene, una cooperativa di donne che produceva ogni giorno un centinaio di croccanti baguette. Guadagnavano un euro, un euro e mezzo alla settimana.

Questo e' il bilancio, finale, del progetto Centro Ghélawé. Un progetto durato quattro anni e che ora non siamo piu' in grado portare avanti, per un sacco di problemi, per un mare di difficolta', per una montagna di incomprensioni.
La mancanza di fondi economici, la scarsa collaborazione della comunita' locale burkinabe', la ridotta partecipazione da parte nostra (causa lavoro e “vita da bianco”), l'impossibile gestione di una corretta e trasparente contabilita' in Burkina Faso, ci hanno fatto decidere di fermarci.
A Loto, nel solo villaggio di Loto, serve un milione di euro per scolarizzare migliaia di bambini che non sanno leggere, scrivere, far di conto e parlare in francese.
Molti di questi sono orfani e sono condannati all'ignoranza.
Servono milioni di euro per portare energia elettrica, fognature, acqua corrente, impianti idrici e bagni nelle case e nelle capanne.
Servono scarpe per non maciullarsi i piedi e zanzariere per non rischiare la vita a ogni stagione delle piogge.
Servono migliaia di euro in aratri, utensili e macchine per coltivare.
Servono medici e pediatri, infermieri, assistenti e ambulanze.
Servono un sacco di soldi... e dedizione assoluta, servono anni per capire bene la cultura e le devastazioni subite da un continente depredato, schiavizzato, colonizzato e poi lasciato a morire. Un continente che ha confuso (nel senso di con-fondere) la tradizione con le scellerate politiche delle multinazionali che vedono nell’Africa un immenso mercato da sfruttare: la moderna colonizzazione.

Per poter fare tutto questo non basta una vita, bisogna essere li', ogni giorno cosi' che i ragazzi sappiano sempre quello che devono fare per mantenere l’orto, il pollaio, il pozzo in ordine.
Bisogna seguire il lavoro delle donne che cucinano, ascoltare tutte le loro domande, spiegazioni, sempre, continuamente.
Abbiamo pensato che sarebbero bastati alcuni viaggi nell'arco dell’anno (che facevamo a nostre spese, rubando tempo al lavoro, alle famiglie) per dare spinta al progetto, ma non e' stato cosi'.
Abbiamo pensato che l'entusiasmo di veder spuntare le zucchine in un orto avrebbe innescato qualcosa, eravamo pronti a qualsiasi cosa, ma non e' stato cosi'.
Abbiamo sperato che strutture pulite, in ordine, organizzate, avrebbero smosso almeno un piccolo commercio, ma non e' stato cosi'.
Una volta siamo riusciti anche a riempire uno dei granai e abbiamo festeggiato insieme. E' stata l'unica volta.

Non abbiamo tenuto conto della troppa diffidenza, del razzismo, dell’ignoranza profonda. E dico questo senza alcun giudizio. Ma bisogna guardare nella loro realta' e senz’altro questa esperienza e' stata un sano, proficuo bagno nella realta'.
Come si dice: abbiamo messo il culo nelle pedate e ne abbiamo prese tantissime.
A ogni viaggio trovavamo le cose esattamente come le avevamo lasciate, le attivita' ferme, tutto da ricominciare, alcuni nostri gesti, alcuni discorsi hanno offeso la comunita' e passavamo il tempo a scusarci senza riuscire a intenderci bene.
I burkinabe' hanno pensato che non valesse la pena capirci, dentro di loro probabilmente si chiedevano perche' dei bianchi facessero cosi' tanti sforzi per aiutare loro, perche' facessero tanta strada per un orto di cui non avrebbero mangiato i frutti… e la risposta era perche' forse si volevano lavare la coscienza dei tanti disastri compiuti dalla loro gente negli anni passati (neanche tanti anni in fondo, poco piu' di un secolo).
Un amico nero un giorno ci ha detto: “Un africano guarda solo ai soldi che puo' toglierti, dentro di se' pensa: ‘Vuoi ripulirti la coscienza bianco? Vuoi sentirti buono perche' aiuti chi hai distrutto? Pensi davvero che basti qualche sacco di riso a dimenticare milioni di deportati in schiavitu'? Di bambini uccisi col machete, di donne violate, di neonati condannati alla denutrizione con il tuo latte in polvere? Bene, vuoi sentirti buono e diverso? Vuoi risolvere la tua vita qui? Ok, allora paga.’ Gli africani imparano fin da piccoli che con i bianchi devi mentire, che loro si parlano nel culo e che tu devi prenderli per il culo”. Cruda, ma efficace.
Noi abbiamo pagato anche poco in realta', abbiamo costruito case e il pozzo, e soprattutto abbiamo mandato i bambini a scuola: saranno loro a iniziare un’Africa diversa? E’ la nostra speranza, migliaia di esperimenti ci hanno portato a credere che l’unica via e' l’istruzione che rimane in zona, che l’unico nemico vero e' proprio l’ignoranza.
Capisco perche' molta della cooperazione internazionale si ferma in Capitale o nelle grandi citta'. Sorvoli cosi' moltissimi problemi come l'acqua corrente e l'elettricita', ma anche le differenze di lingua, il livello culturale e' superiore e tutto e' un po' piu' facile.
Noi abbiamo cercato di fornire a persone del villaggio, che non avevano mai visto un progetto di cooperazione in vita loro, alcuni strumenti per vivere un po' meglio. Continuare ora sarebbe uno sforzo che non siamo neanche in grado di prevedere.

Durante la missione in Burkina Faso di gennaio 2009 la situazione e' definitivamente precipitata. Ci e' stato chiesto di cambiare radicalmente il progetto, inserendo, ad esempio, i fertilizzanti chimici nell'agricoltura cosi' da fare raccolti sicuri e di qualita'.
Ci e' stato chiesto di allargare il pollaio a dismisura per avviare un’attivita' di vendita delle uova ma senza tener conto dei pericoli che cio' comportava per la salute sia degli animali che, soprattutto, delle persone.
Abbiamo dovuto rispondere che potevano fare quello che volevano all'interno del Centro, il Centro Ghélawé e' stato sempre di loro proprieta' e libera gestione, ma che noi, a questo punto, avremmo chiuso la collaborazione.

Il capitale residuo del Centro Ghélawé, poche migliaia di euro, verra' interamente devoluto all'Associazione Tante Mani Per O.N.L.U.S. che continuera' e sviluppera' il programma di scolarizzazione gia' iniziato. (http://www.tantemaniper.org/website/index.asp), operante a Bobodiulasso, in Burkina Faso.

Ringraziamo tutte, ma proprio tutte le persone che ci hanno seguito mandandoci soldi, collaborando con noi a vario titolo, regalandoci preziosi consigli, o anche solo ascoltandoci quando in certi periodi riuscivamo a parlare solo di Burkina Faso.
E ringraziamo Sami, Issa, Sie, Teremi, Carole, Ahmed e tutti gli altri che per 4 anni ci hanno permesso di fare questa esperienza incredibile.
Siamo piu' ricchi oggi, affrontiamo la nostra vita con uno spirito diverso e orizzonti piu' ampi.
Ringrazieremo sempre per i doni ricevuti della gente di un paese dove il cielo e' piu' vicino alla terra.