Dopo il Coronavirus arrivano gli Zombie

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Un racconto di terrore: Toni Barra contro gli zombie.
Le avventure di Toni Barra investigatore privato al servizio del Sindacato Metalmeccanici.

Mi mancava di fare colazione al bar ogni mattina con cappuccino schiumoso e brioshe calda. D’altra parte eravamo circondati dal virus bastardo e reclusi in casa. Io, Rosa, la donna della mia vita e la piccola Engels (Engels come Marx e Engels).
La mia piccola quella mattina era intenta a una video lezione. Scolastica. Io stavo rileggendo “Il Manifesto del Partito Comunista” e meditavo sulla cattiveria del capitalismo quando sento la maestra di Engels dire, nel computer, che la colonizzazione delle Americhe ha portato progresso e civiltà agli indiani selvaggi. Mi alzo in piedi e mi avvicino al tavolo dove la mia piccola ha appoggiato il portatile per seguire la lezione.
Lei mi guarda e capisce che ho intenzione di dirne quattro a questa bestia reazionaria di maestra e mi snocciola uno sguardo implorante che mi induce a desistere dagli insulti scolastici.
In quel momento suona il telefono: è il Capo del Sindacato Metalmeccanici che senza preamboli mi dice: “Tony, abbiamo bisogno di te, vieni subito al Sindacato!” Poi interrompe la comunicazione senza neanche chiedermi se posso precipitarmi lì con 8 secondi di preavviso... I soliti metodi da dittatore supremo che non sopporto.
Acchiappo un modulo per l’autocertificazione, lo compilo, poi prendo la pistola, una Tokarev calibro 7,62, un revolver sovietico che ha dato un grande contributo alla disfatta dei nazisti.
Scendo in strada. Non c’è mai nessun posto di blocco a Quarto Oggiaro ma quel mattino la mia 4 cavalli viene intercettata da una volante della Ps.
Porgo il modulo all’agente che solleva un sopracciglio mentre legge che la mia motivazione per l’abbandono della detenzione domestica è: sono in missione per conto del Capo del Sindacato Metalmeccanici. Mi guarda, lo guardo con l’espressione che noi comunisti riusciamo a produrre quando il nemico è alle porte, decide che scontrarsi col proletariato insurrezionale alle 9 di mattina è troppo stressante e mi fa cenno con la mano di proseguire sulla radiosa via del socialismo dal volto umano.

Arrivo al Sindacato e si capisce subito che la situazione è grave, decine di compagni con mascherine, guanti e visiere trasparenti sul viso stanno ammonticchiando sacchi di terra per costruire uno sbarramento all’ingresso e per creare postazioni di tiro protette alle finestre, altri stanno stendendo filo spinato tra i pali della luce e quelli della segnaletica, lungo il marciapiede. In un angolo quattro operai dell’Alfa che conosco fin dai tempi delle rivolte studentesche, stanno riempiendo bottiglie di birra da 3/4 con benzina, acido solforico e polistirolo. Scene che non si vedevano da decenni! Ho la sensazione che sia successo qualche cosa di veramente grave. Lungo il corridoio del primo piano vedo davanti a me Simone, uno dalla Face Standard, lo affianco e gli chiedo: “Che succede?” Lui gira la testa e senza rallentare risponde: “Mistero. Ma l’ordine è quello di prepararsi a uno scontro all’ultimo sangue. Sto andando a ritirare un carico di cibo che dovrebbe bastare per un centinaio di combattenti per almeno una settimana.
Quando arrivo di fronte all’ufficio del Capo la porta è aperta e lui sta urlando: “Non ho chiesto la luna! Ho bisogno di 20 mitragliatrici pesanti, 10 mila proiettili, 500 bombe a mano e una decina di bazooka, e quanto cazzo ci impiego ad avere quel carro armato che mio padre ha seppellito? Vi ho detto dov’è! Quanto ci mettete a trovare una ruspa?”
Il Capo è alto 1,90, ma sembra più alto e ha una voce spaventosa. Di fronte a lui c’è il responsabile della logistica per la Lombardia, Paolo Brambilla che nonostante il suo metro e sessanta non sembra intimidito, parla a voce normale lentamente come se cercasse di comunicare con un bambino stupido. E lo sa che è il modo migliore per far sbarellare il Capo e ci prende gusto: “Non serve un cazzo che alzi la voce. Mi dici dove le trovo le mitragliatrici pesanti? E le vuoi col treppiede. Non mi hai chiesto dei Kalashnikov! Porca puttana. E vuoi pure un carro armato per giunta!”
Lui lo guarda: “Prendi 50 uomini, procurati una ruspa, disseppellisci il carro armato, poi prendete 4 camion, andate alla caserma dell’esercito di Baggio e vi fate dare tutto quello che ci serve. Se fanno resistenza telefonami che glielo spiego io! Porca merda! E se non capiscono mobilitiamo i farmaceutici, li irroriamo di gas esilarante e prendiamo possesso della caserma”
Dopodiché il Capo mi vede e mentre Brambilla esce per realizzare un piano decisamente avventato mi dice: “Toni, è successo il peggio. Un’ora fa una ventina si zombie hanno assaltato il grattacelo della regione facendo una strage di consiglieri, funzionari e agenti. Hanno fatto 18 morti prima che arrivassero i militari di stanza alla Stazione Centrale e aprissero il fuoco con i fucili d’assalto. Mediamente hanno dovuto colpirli 20 volte prima che crepassero del tutto. I Carabinieri hanno chiesto il silenzio stampa assoluto ma ci hanno avvisati. Capisci cosa succede Toni? I morti per Coronavirus stanno resuscitando e vogliono vendicarsi su chi ha gestito l’emergenza scatenando la strage. Molti zombie sono evidentemente vecchissimi pensionati ma i testimoni ci dicono che si muovono alla velocità di giovani centometristi ed hanno una forza muscolare spaventosa. E si sospetta che se ti mordono poi diventi uno zombie anche tu! Ci mancava solo questa! Merda! Siamo capitati in un film di serie B sulla fine del mondo!”
Lo guardai. Era un capo capace di schierare il reparto Fonderie della Breda davanti al battaglione Padova in assetto di guerra, e dire al colonnello: “Scioglietevi o carichiamo!”
Ma non avevo proprio idea di come avremmo potuto affrontare gli zombie ai tempi del Coronavirus.
“Merda!” Dissi. Non era un pensiero profondo ma esprimeva bene il mio stato d’animo.
“Cosa ti serve da me?”
“Toni, non sappiamo un cazzo di questi resuscitati. Abbiamo bisogno di informazioni più del pane. Non so da dove potresti iniziare ma i carabinieri mi hanno sussurrato che nel parco di Monza ce ne sono centinaia e stanno aumentando. Non credo ci vorrà molto prima che calino sulla città. E non oso pensare cosa potrebbe succedere”.
“Ok” dissi “Farò il possibile!”
Lui mi guardò: “Il possibile non è abbastanza Toni. Se non scopri qualche cosa di veramente utile ci saranno più morti che per la bomba atomica su Hiroshima!”

Diciamo che il capo è uno che ti sa motivare.
Non sapevo da dove iniziare. Mi serviva un esperto di zombie. Ma non di quelli del cinema.
Poi mi venne in mente Luisa. Non c’era un motivo preciso, anche perché non era una biologa né un’esorcista.
Però mi doveva un favore e conosceva parecchie persone. Era una tatuatrice olistica.
Una giovane esuberante che portava una minigonna nanomillimetrica e una scollatura eccessiva e procace.
Avevo deciso di farmi tatuare una coccinella sulla spalla per contare in quanti, sulla spiaggia mi avrebbero detto: “Hai una coccinella sulla spalla!”
Ovviamente mi serviva una tatuatrice iperrealista e Paolo, del Comitato di Lotta Omosessuali Internazionalisti me l’aveva consigliata.
Quando entrai nel suo negozio stava piangendo come la fontana di Trevi.
Non ci misi molto a scoprire che erano appena passati di lì due tipi che le avevano chiesto 500 euro di tassa mafiosa al mese. Una cosa così a Milano non si era mai sentita dai tempi di Bava Beccaris.
Le chiesi di descrivermeli. Telefonai a un paio di compagni del quartiere. E dopo mezzora ebbi un colpo di fortuna e li trovai in un bar che sorseggiavano un mojito tutti contenti perché erano convinti di essere ai vertici della vigliaccheria umana. Poveri scemi. Solo dilettanti. Non avevano idea delle bassezze che si consumano sul retro di Rolls Royce rivestite di pelle di vergini irachene.
Comunque mi presentai: “Buon giorno! Sono il capitano Toni Barra, dell’Armata Rossa divisione Sindacato Metalmeccanici. Sono qui per ammazzarvi tutti e due. Ma prima vorrei stritolarvi le braccia sotto una pressa, qui vicino... All’Alfa Romeo”. Mi guardavano con l’aria imbecille di certa gente sorpresa da uno scherzo televisivo. Ma qualche cosa nei mie occhi gli aveva detto che non era uno scherzo.
Anche perché, alla spicciolata, stavano entrando nel bar una serie di uomini e donne con l’aria veramente incazzata. Facce che se le incontri di notte capisci cosa vuol dire la paura. Operai. Li adoro. Sono il più potente deterrente al di sotto del nucleare.
Gli dissi di tirare fuori i documenti. Uno disse: “Ma...” con l’intenzione di iniziare a esprimere dissenso. Gli diedi un ceffone. L’altro portò la mano sotto la giacca. Simultaneamente Giovanni Prampolini, detto “La Lama” che stava a tre metri da noi, fece una serie di schiocchi con la lingua che nel linguaggio dei sibili e dei grugniti vogliono dire: “Non farlo!”
Il coglione si bloccò. Guardò il Prampolini e notò che lui la mano l’aveva già infilata sotto la giacca, all’altezza dell’ascella.
Desistette. Evidentemente aveva ancora un paio di neuroni nel cranio.
Trascrivemmo i nomi.
Poi io dissi: “Avete diritto a una sospensiva provvisoria dell’esecuzione. Perché noi siamo comunisti ma siamo anche cristiani, quindi crediamo nella redenzione delle teste di cazzo. Però dovete pagare una multa. Intanto. Tirate fuori 2mila euro. Sull’unghia”.
“Ma io...” Disse quello con la manina svelta verso la pistola.
“Va bene. Allora vi ammazziamo”.
Poi mi rivolsi a Prampolini: “Carlo Marx pensaci tu. Ma prima fate un giro alle presse”.
Pagarono. E poi cambiarono città.
I 2mila euro finirono nelle “Fondo Campi Estivi” per i figli di operai caduti sul lavoro.

Intanto che rivedevo i miei ricordi, ero arrivato d’avanti al salone dei tatuaggi di Luisa. Mi stavo chiedendo se avevo peccato a mentire dicendo a quei due che gli avremmo stritolato le braccia prima di ammazzarli. Li avremmo ammazzati ma senza stritolargli le braccia. Siamo comunisti, siamo contro la tortura. In effetti comunque per me peccare non è grave se è a fine di bene. Non sono neanche cristiano. Avevo mentito anche su quello. Ma tanto l’Inferno non esiste.
Luisa mi accolse con una serie di gridolini entusiasti.
Mi offrì un caffè. Causa quarantena non c’erano clienti.
“Luisa ora ti dico una cosa che devi tenere per te”.
Lei cambiò espressione e annuì.
“Siamo sull’orlo del baratro. Alcuni cadaveri da Coronavirus sono resuscitati e ammazzano la gente. Abbiamo bisogno di informazioni. Perché succede? Come li si ammazza? Come si ferma questa mutazione? Insomma non sappiamo un cazzo e abbiamo bisogno di sapere tutto.”
“Tesoro, ma io faccio tatuaggi, mica sono la Cia!”
“Dolcezza, tu sei una ragazza intelligente. Pensaci bene, sicuramente conosci qualcuno che conosce qualcuno che saprebbe dirmi chi cazzo ci capisce qualche cosa.”

Va beh, te la faccio breve perché so che devi andare cambiare la disposizione delle bottiglie di birra in frigo o fare qualche altra attività urgente mentre sei detenuto in casa per colpe che non hai commesso...
Luisa mi passa il nome e il recapito di Manila, una sua amica della scuola che sta con la Parte Oscura della Forza. Coi fascisti insomma. Ci vado. Vive in un’appartamento tutto in stile impero, con cadute nel Barocco e nel Rococò. Allucinate!
Le dico che Luisa mi ha detto che lei sa dove trovare Augusto Castelbarco Visconti, un ultra novantenne ex Rettore Magnifico della facoltà di legge della Statale di Milano ai tempi di Mussolini, quando non insegnavi se non eri iscritto al Fascio. E lui non l’avevano dovuto picchiare per fargli comprare la tessera.
Vado da lui. Mi apre in vestaglia dannunziana, tutta decorata da rune celtiche.
Capisco subito che non si è convertito alla pace nel mondo.
Mi fa strada fino ad un piccolo studio rivestito da libri vecchi o vecchissimi. Sulla scrivania di mogano campeggia un busto di Mussolini. Faccio finta di non vedere. Gli dico: “Siamo in un’emergenza totale. I morti si stanno risvegliando e una banda di zombie ha assaltato la regione facendo una strage. Il Sindacato Metalmeccanici mi manda a chiederti aiuto. Dobbiamo sapere perché resuscitano e come spazzarli via dalla faccia della terra”.
Lui mi guardò in silenzio per quasi un minuto. Aveva il monocolo, il viso rasato, rughe profonde e non dimostrava i suoi 92 anni.
Poi aprì bocca: “Sindacato metalmeccanici... Potreste essere comunisti...”
“Siamo comunisti. Siamo molto comunisti”.
“E lei sa chi sono io?”
“Sì sei un fascista di merda. Ma in questo caso parliamo di ideali che travalicano le ideologie! Parliamo di zombie, di città in fiamme, di donne e bambini calpestati dalla folla impazzita e forse della fine della specie umana. Pare che questi zombie siano infettivi. E mi pesa venire a chiedere aiuto a uno come te! Ed è pure il 25 aprile e tutti i martiri antifascisti mi stanno urlando nella testa la loro disapprovazione. E io non ci posso fare un cazzo! Devo allearmi con te!”
“Che ragazzo emotivo...” commentò lui. Stavo per dirgli che ho 65 anni... Poi lasciai perdere.
“Va bene...” continuò lui. “La soluzione c’è. Non vi piacerà ma c’è. Quello che sta succedendo ha a che vedere con energie entropiche di origine extra universo. C’era un gruppo agli ordini diretti di Hitler che ha studiato a lungo questa questione. Era l’ala mistica del Reich... Comunque quel che serve è un rimedio che potremmo definire omeopatico, oppure vibrazionale se preferisce.... Con loro i proiettili non funzionano, più li fai sanguinare più il contagio zombie si diffonde. Quello che serve è Santissima Acqua Benedetta...”.

Me lo feci ripetere due volte. Poi lo avvisai che se mi stava prendendo per il culo lo avrei stritolato sotto una pressa della Breda. Lui mi disse che la Breda non esisteva più da anni.
Io dissi: “Cazzo, erano grandi...”
Non so se ti è mai capitato di sentire intimamente che un fascista ti sta dicendo la verità e che devi fidarti.
A me non era mai capitato.
Non era una sensazione che mi piaceva. Ma mia nonna una volta mi aveva detto: non importa se il gatto è bianco o nero, l’importante è che prenda i topi!”
Grande donna mia nonna. Una partigiana dei GAP. Quelli che giustiziavano gli ufficiali nazisti per strada. Mi diceva anche: “Se devi sparare a qualcuno mira alla testa. I feriti possono sempre guarire. Generalmente i morti no”.
Meditai su quel G E N E R A L M E N T E.

Tre ore dopo una colonna di idranti che avevamo requisito all’Arma viaggiava rispettando i limiti di velocità verso il parco di Monza.
In realtà gli idranti erano solo parzialmente requisiti perché il generale Santavilla aveva chiarito che non intendevano scatenare la guerra urbana solo perché avevamo osato minacciare la caserma Annarumma con un carro armato; che peraltro nessuna legge della Stato può autorizzare dei comunisti ad andare in giro con un carro armato tedesco anche se è il 25 aprile. Ma comunque col cazzo che ci faceva guidare gli idranti, visto che noi comunisti col cazzo che sappiamo guidare. Quindi i carabinieri ci mettevano i mezzi, gli autisti e gli addetti ai cannoni ad acqua, Tecnologia tedesca che noi cubani del cazzo non potevamo comprendere... E che non rompessimo i coglioni. Poi in aggiunta ci aveva mandato dietro venti gipponi con tutte le teste di cuoio che aveva a disposizione. Ci prestarono anche 200 giubbotti antiproiettile e altrettanti elmetti. Ma quando videro che avevamo i bazooka e le mitragliatrici pesanti ci restarono male. Sono troppo competitivi!

Avevamo fatto riempire le cisterne degli idranti di acqua mentre veniva benedetta con una serie di Pater Noster molto partecipati da Don Luigi di Dio, che per inciso ci aveva costretti tutti a recitare la preghiera in coro. Operai comunisti e carabinieri delle teste di cuoio che pregavano insieme. Una roba più incredibile dell’invasione zombie!!!
Pregai anch’io. Era dal 1963 che non pregavo. E nel 1963 comunque avevo solo 8 anni e lo avevo fatto per far contenta la mia nonna cattolica, da parte di padre. Non ci credevo per niente!

All’altezza di piazzale Loreto iniziammo a vedere una folla che fuggiva, chi a piedi chi in macchina. Accendemmo le sirene e iniziammo a fendere la calca.
Poi il traffico si diradò. Cento metri più avanti la strada era bloccata da una folla di esseri umani. Si muovevano lentamente, con un movimento ondeggiante.
Non ci mettemmo molto a capire che gli zombie erano davanti a noi.
Quando via radio il capo del Sindacato Metalmeccanici urlò: “Avanti bastardi! Azioniamo le pompe!” io mormorai: “Preghiamo che funzioni!”
Il Capo girò la testa per guardarmi e disse: “Noi non preghiamo. Noi facciamo a pezzi gli zombie!”

Funzionò!
Due gocce di acqua benedetta e morivano definitivamente.
Fu così che fermammo l’invasione zombie e salvammo il mondo. Avremmo preferito riuscirci da soli, senza l’aiuto di fascisti e carabinieri, sopratutto il 25 aprile. Ma non sempre si può avere tutto.
Prima di sera il Presidente della Repubblica Mattarella aveva firmato un decreto di grazia per tutti i reati che avevamo commesso quel giorno. Tipo assaltare caserme della fanteria, girare con carri armati senza targa, possesso di armi da guerra, furto di beni dello stato, sequestro di 240 tra autisti, addetti ai cannoni ad acqua e teste di cuoio armate fino ai denti.
Facemmo anche un senso vietato.
Quella sera tornai a casa soddisfatto. Mia figlia sarebbe cresciuta in un mondo senza mostri. Misi a letto la piccola Engels e le raccontai la storia di quando i vietnamiti distrussero la flotta cinese piantando 10 mila pali di bambù sul fondo del mare e usando la bassa marea come arma da guerra. (1)

Poi mi sedetti a fianco di Rosa, la donna della mia vita. Stava guardando il Commissario Montalbano distesa sul divano. Mi sedetti, presi tra le mani il suo morbido piede ed iniziai a massaggiarglielo.
Poi, nel nostro letto, lei mi dimostrò che l’amore, sostenuto da mutua solidarietà e fiducia non ha nulla a che vedere con l’edonismo reganiamo del consumismo sessuale cerebrale che in realtà teme il vero tripudio fisico dei sensi. Poi mi dimostrò che è possibile toccare il cielo con un dito. E anche con tutto il resto.

(1) Nota: è una storia vera! La racconto qui!