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L’incredibile assedio di Alessandria

Intorno all'anno 1000 inizia in tutta Europa un movimento di ribellione contro i signori feudali e le gerarchie ecclesiastiche. Il tentativo dei signori feudali di instaurare un controllo più rigido della società erodendo libertà e diritti che si erano conquistati durante il caos dei secoli precedenti, provoca le rivolte dei contadini. Al loro fianco scendono gli artigiani delle nascenti città che mal tollerano le esose tasse imperiali. Sulla rivolta soffiano banchieri, ricchi commercianti e imprenditori manifatturieri. Ma i signori feudali non capiscono come stanno le cose e, convinti che la loro cavalleria pesante sia invincibile, decidono di non concedere autonomie, esenzioni fiscali e spazi di autodeterminazione.

Milano viene espugnata per ben tre volte dall'Imperatore Federico I detto il Barbarossa che alla fine rade al suolo tutta la città lasciando intatte solo 17 chiese, fonde l'oro che rivestiva le colonne di San Lorenzo e infine fa trasportare le pietre delle case demolite fino a Pavia dalla popolazione vestita solo di un saio, col capo cosparso di cenere e le spade legate al collo. Per essere sicuro di non dover tornare un'altra volta in Italia, oltre a scacciare la popolazione dalla città, fa anche arare il perimetro urbano e lo fa cospargere di sale per renderlo sterile. Poi, visto che è un tipo pignolo ci lascia anche una guarnigione con l'incarico di uccidere chiunque fosse sorpreso su quelle terre.
Passa qualche anno, i profughi si accampano ai confini della città, mentre i milanesi più ricchi trovano ospitalità altrove. È un'orda di straccioni e piccoli artigiani quella che una notte dell'anno 1167 rioccupa il perimetro della città massacrando la guarnigione tedesca. Ricostruita alla meglio Milano, essi si pongono il problema di come affrontare di nuovo il Barbarossa. Fortunatamente i generali di professione erano fuggiti insieme ai banchieri, così capi improvvisati scelgono di combattere non facendo affidamento su mura ciclopiche e cavalleria pesante.
Una follia!
Essi iniziano la costruzione della più grande trappola che mai nella storia sia stata costruita. Conoscendo il percorso che il Barbarossa seguiva ogni volta nelle sue incursioni scelgono una zona paludosa alla confluenza del Tanaro e del Brenta. Qui costruiscono una città in grado di ospitare circa 5.000 abitanti. Per riuscire nell'impresa fanno un bando che offre a chiunque sia disposto a costruire e a difendere il borgo la cittadinanza, cioè la protezione dai signori feudali.
Al libero comune viene dato il nome di Alessandria in onore del Papa Alessandro III, grande nemico di Barbarossa. È una città molto particolare. È tutta fatta di legno e soprattutto è costruita per la maggior parte su barche. Anche le mura di cinta sono costituite da palizzate erette sopra barche. Una città galleggiante in mezzo a un acquitrino paludoso.
Nell'autunno del 1174 arriva il Barbarossa forte di 4.000 cavalieri, 6.000 fanti e con un seguito di 10.000 persone tra artigiani, operai, servi, commercianti e prostitute. Quando l'Imperatore vede quel patetico accrocco di pali chiede cosa sia. Si dice che gli sia stato risposto: "Alessandria, battezzata cosi' in tuo spregio!" e il Barbarossa disse allora: "Distruggetela!"
Qui si interrompe la cronaca imperiale. Ci sono sei mesi di buco. Quello che noi sappiamo è che Federico Barbarossa non riesce a conquistare Alessandria e che ne va dall’assedio senza più l’esercito. È arrivato con 20.000 uomini e se ne va con 2.000 e addirittura deve vendere parte delle sue proprietà personali per finanziare la costituzione di un nuovo esercito.
La storia ufficiale, quella che anche Umberto Eco sceglie di raccontare, dice che non si sa come questi Alessandrini resistono dopo sei mesi d’assedio.
Si racconta che avendo finito i viveri ci sia stato un contadino molto furbo che prende l’ultima vacca che gli è restata e l’ultimo sacco d’avena,  dà da mangiare l’avena alla vacca e poi finge che la vacca sfugga in un momento di distrazione. I tedeschi la catturano e la uccidono e quando vedono che ha la pancia piena di avena e pensano: “Se dopo sei mesi d’assedio gli Alessandrini hanno ancora la possibilità di nutrire il proprio bestiame vuol dire che hanno ancora talmente tanto cibo che non si arrenderanno mai”. E quindi Federico Barbarossa rinuncia a espugnare la città e se ne va.
Questa storia non sta in piedi, inoltre questo stratagemma risale ai tempi dei Greci, è una storia trita e ritrita. Non sta in piedi anche perché Milano, e altre città, non erano riuscite a resistere all’assedio per neanche più di un mese, come hanno fatto questi con le mura di legno, una città costruita sulle barche a resistere addirittura sei mesi? Era impossibile.
Ed ecco il racconto che mio padre mi faceva quando ero piccolo e che aveva sentito a sua volta dal nonno su come aveva funzionato questa trappola.
Quando Federico Barbarossa dà l’ordine di distruggere Alessandria partono i guastatori con le asce, i scudi, le balestre e gli archi ed entrano nell’acquitrino che circonda la città. Non è molto profondo, l’acqua arriva alla vita, avanzano senza problemi: dalla città non arriva alcuna reazione come se fossero tutti morti. E i guastatori arrivano fino alle mura e iniziano a colpirle con le asce per creare un varco, entrare nella città e distruggerla. A questo punto Barbarossa è convinto di avere già vinto, d’altra parte era ridicolo pensare che una città di legno potesse resistere… e allora fa partire la cavalleria che si butta nell’acqua e si avvicina alle fortificazioni. Iniziano a volare sui cavalieri, gettati dalla città, dei blocchi di pietra. Queste pietre sono leggerissime, arrivano addosso ai cavalieri e non fanno danni ma quando arrivano in acqua iniziano a bollire. È calce viva e brucia la pelle degli uomini e dei cavalli che si imbizzarriscono, succede un gran casino tra i cavalieri e i guastatori che sono immersi nell’acqua. Si aprono le porte della città ed esce un’armata di persone sulle barche e attacca. Fanno una strage. Rubano armature, insegne e armi e le inchiodano sulle mura della città e tutta la popolazione sale sulle mura e come gesto di disprezzo fa pipì sulle insegne imperiali. Si racconta addirittura che avessero imparato degli insulti volgarissimi in tedesco e li urlano a Federico Barbarossa per farlo incazzare ancora di più.
Barbarossa, il primo giorno di assedio, ha già perso una bella fetta del suo esercito e si rende conto che espugnare questa città non è poi così semplice.
Decide di procurarsi dei barconi per attaccare montando su queste grandi zattere le catapulte e le altre armi da guerra. Ci mette un po’ di tempo per costruire queste barche e quando attacca si rende conto che non è così facile, gli Alessandrini li lasciano avvicinare alle mura che sono mobili e così intrappolano le zattere dell’esercito tedesco e massacrano tutti. Di nuovo rubano le insegne, le appendono sulle mura della città e ci pisciano sopra insultando in tedesco l’Imperatore.
Federico Barbarossa ha un’altra idea: vuole costruire un pontile di legno con dei pali ficcati nella palude di modo da arrivare sotto le mura con le torri d’assedio e gli arieti. Pensa così che avrà una vittoria facile.
E così passano ancora alcune settimane, ci vuole tempo per costruire il ponte. Sta arrivando l’inverno, i lavori sono rallentati e inoltre gli Alessandrini spesso fanno delle sortite e incendiano il ponte, usando delle zattere in fiamme che mandano contro i pali di legno.  
Barbarossa capisce che neanche quella è una buona idea.
L’ultima possibilità è riempire l’acquitrino di terra e pietre così da farlo diventare terraferma e rendere possibile l’attacco. L’acquitrino è grande e anche in questo caso il lavoro è lungo e passano i mesi…
Prova anche a chiedere una tregua durante la quale scopre che c’è un tunnel che arriva al centro della città e cerca di entrare ma gli Alessandrini non ci cascano e quando gli imperiali cercano di usare il tunnel trovano i cittadini ad aspettarli.
Ormai son passati sei mesi, arriva la primavera e con essa la stagione delle piogge.
Abbiamo trovato un racconto su questo periodo fatto da un monaco. Questi monaci milanesi si erano trasferiti vicino ad Alessandria, probabilmente per appoggiare la costruzione di questa città su barche. Facevano parte dell’ordine degli “Umiliati”, un ordine che non esiste più forse sciolto perché erano troppo pericolosi.
Questi frati ci raccontano che avevano costruito insieme agli Alessandrini tre dighe: una sul Tanaro, una sul Bormida e una all’incrocio tra il Tanaro e il Bormida. Piove, le dighe si riempiono - si erano sbarrate due valli enormi, strette ma lunghissime, parliamo di un milione di litri d’acqua – e a un segnale che parte dalla città e via via viene ripetuto sulle rive di questi due fiumi si fanno crollare queste dighe liberando così un’ondata spaventosa. La città di barche si alza, il campo di Federico Barbarossa no e quindi immaginate il disastro: armi disperse nel fango, viveri distrutti, soldati e animali annegati.
La mattina dopo l’inondazione l’esercito più potente del mondo occidentale è completamente devastato e allora sono gli Alessandrini ad attaccare. Sono nella fase finale della battaglia quando arriva l’esercito dei nobili, dei ricchi lombardi che invece di finire l’Imperatore pensano di poter contrattare la pace. Barattano con l’Imperatore la possibilità di salvarsi la vita con i superstiti con una promessa di libertà e di lasciare ai Liberi Comuni la loro autonomia pur accettando il dominio dell’Impero.
Come è finita?
Il resto alla prossima puntata
(Continua)